Più di diecimila sportivi, milioni di spettatori dai quattro angoli del mondo e oltre 200 paesi rappresentati da almeno un atleta partecipante. Pochi eventi al mondo sono un crogiolo di lingue e culture diverse quanto i Giochi Olimpici, la cui trentaduesima edizione si terrà questa estate a Tokyo, come avevamo già menzionato in un articolo introduttivo sul nostro blog.
Oggi ci concentriamo su coloro che sin dagli albori compongono l’ossatura dell’evento, e che non smetteranno mai di esserlo: gli atleti. Nel 2016, a Rio sono stati registrati 206 paesi partecipanti, un numero che potrebbe far storcere il naso ai più nerd tra di voi.
Secondo un calcolo approssimativo, nel mondo ci sarebbero infatti “solo” 196 paesi sovrani. Com’è possibile allora che alle Olimpiadi di Rio ne partecipino ben dieci in più? Per trovare una risposta bisogna tornare indietro al 1996, quando a livello internazionale è stata approvata la regola secondo la quale, per avere un Comitato Olimpico Nazionale valido, il paese deve essere innanzitutto riconosciuto dall’ONU.
Nel frattempo, erano però già stati creati e approvati i Comitati Olimpici di vari territori non sovrani, come per esempio Porto Rico, Hong Kong, le Isole Vergini Britanniche e altri ancora, che hanno dunque ancora pieno diritto a iscrivere ai Giochi i propri atleti. Si spiegherebbe così la differenza tra i due conteggi. Se consideriamo che in molti paesi si parlano fluentemente due o tre lingue differenti, il calcolo è presto fatto: il numero di lingue “in gioco” tra gli atleti è da capogiro.
Come abbiamo già precisato nel primo articolo, le lingue ufficiali del Comitato Olimpico internazionale sono il francese e l’inglese, anche se quest’ultimo ha assunto via via una posizione predominante, e nella stragrande maggioranza dei casi funge da lingua “ponte” tra l’infrastruttura internazionale e la lingua utilizzata nel paese ospitante di ciascuna edizione.
È quindi da segnalare il fatto che il livello di conoscenza dell’inglese tra gli atleti è eccezionalmente elevato se comparato a quello della popolazione della maggior parte dei paesi del mondo. Dalle varie dichiarazioni e pubblicazioni sulle vite degli atleti, si intuisce facilmente come per questi sia evidente che una delle componenti imprescindibili di una carriera sportiva di successo è conoscere inglese.
Sicuramente in tutti gli sport, compresi quelli individuali, ma soprattutto in quelli di squadra, è fondamentale per un atleta avere la possibilità di comunicare con i compagni di squadra in maniera rapida ed efficace. Molti sportivi hanno infatti riconosciuto l’importanza di poter interagire direttamente con le persone attorno a loro e quanto l’inglese sia sempre uno strumento utile da utilizzare durante la competizione.
Un caso altrettanto interessante è quello in cui un atleta si trova a dover imparare una lingua straniera per via di un risvolto della sua carriera, prettamente sportivo oppure semplicemente correlato alla sua vita normale.
La pluricampionessa di tennis Serena Williams, ad esempio, ha dichiarato in un paio di occasioni di aver inizialmente imparato il francese perché, in caso di vittoria del Roland Garros, avrebbe voluto pronunciare il discorso di premiazione in francese. Anche il calciatore Ivan Rakitic, qualche anno fa, quando era sicuramente meno famoso rispetto a oggi, è passato dalla Bundesliga alla Liga e ha vissuto e giocato per un periodo nella squadra di Siviglia. La donna che ora è sua moglie viveva lì e quando i due si conobbero, nonostante parlasse già quattro lingue, Ivan decise di studiare anche lo spagnolo con la manifesta intenzione di fare colpo su di lei.
Infine, vi sono atleti che per ragioni culturali o familiari hanno imparato varie lingue già da giovanissimi e che sono oggi in grado di rispondere con naturalezza a giornalisti e appassionati di paesi differenti.
Molti di loro hanno affermato a più riprese che questa loro capacità gli conferisce una marcia in più in una serie situazioni più o meno collegate con l’ambiente sportivo. Possiamo menzionare vari calciatori e manager calcistici, in primis gli acerrimi nemici José Mourinho e Arsène Wenger, con sei lingue ciascuno, i super tennisti Roger Federer e Novak Djokovic e, nel mondo del basket, il compianto Kobe Bryant, che conosceva piuttosto bene anche l’italiano.
Insomma, anche in un’arena caratterizzata da grande intensità e competitività come quella dello sport professionistico, i partecipanti trovano il tempo di prepararsi bene in materia di comunicazione multilingue. La buona notizia è che nel mondo del business, anche se si è un top performer, non ci si troverà mai a dover tradurre da solo da cima a fondo i propri contenuti, perché per questo ci sono partner linguistici come noi. Ti basterà contattarci e ci prepareremo insieme per il fischio d’inizio.