Dopo una lunga assenza, il 2021 è stato caratterizzato dal ritorno dell’inflazione mentre gli operatori prevedono un ulteriore aumento delle pressioni inflazionistiche dopo la pandemia di coronavirus. Al momento comunque le banche centrali non sembrano preoccupate per l’aumento dell’inflazione, tanto da non essere neppure intervenute sulle rispettive politiche monetarie mantenendo il tono accomodante, meglio noto come dovish. La Fed, proprio per avere più margine d’azione, ha recentemente modificato la propria strategia sull’inflazione: non più un obiettivo fisso (inflation target) ma una politica di average inflation targeting (AIT) che si pone un obiettivo di inflazione media del 2%. Sul fronte della BCE invece la presidente Lagarde ha recentemente affermato:
“L’aumento registrato dall’inflazione negli ultimi mesi è ascrivibile ad alcuni fattori idiosincratici e temporanei e all’incremento della componente energetica. Al tempo stesso, le pressioni di fondo sui prezzi rimangono contenute in un contesto di significativa capacità inutilizzata nell’economia e persistente debolezza della domanda.”
In particolare, la componente energetica citata da Largarde (ossia energy price inflation) ha un ruolo essenziale nella distinzione tra due indicatori fondamentali in qualsiasi analisi economica: core inflation e headline inflation.
Di cosa si tratta?
Mentre la prima è “a measure of inflation that excludes items having volatile prices (such as fuel and food) from the price index being used”, la seconda è “a measure of inflation that is based on an unadjusted price index” (Merriam-Webster). Per quanto riguarda la resa in italiano, l’inflazione headline è spesso nota come inflazione primaria o inflazione complessiva; non di rado si sente anche citare come inflazione grezza in contrapposizione con il dato core, che è depurato dai beni che mostrano una forte volatilità nei prezzi (ossia energia e alimentari). In quest’ultimo caso si parla di inflazione inerziale o inflazione di fondo.
Il cambiamento dei prezzi al dettaglio di un paniere (basket) di beni o di servizi è rilevato dal cosiddetto Consumer Price Index (CPI), l’indice dei prezzi al consumo (IPC) o al dettaglio.
Se è vero che di recente si è rilevato un lieve aumento di questo dato, nella realtà l’inflazione sembra salire in maniera più “occulta”. Ne stanno parlando diversi giornali: la shrinkflation, termine che deriva dalla fusione di shrinkage (contrazione) e inflation, provoca un aumento del livello dei prezzi dei prodotti per unità di peso o di volume, cosa che spesso passa inosservata agli occhi del consumatore; talvolta questo aumento non viene rilevato nemmeno dall’IPC, mentre il consumatore continua a pagare lo stesso prezzo per una quantità inferiore di merce. In italiano questa pratica è spesso definita riposizionamento e si riferisce alla quantità di prodotto, ma ci sono anche casi in cui le società scelgono di ritoccare la qualità del prodotto per trasferire sul consumatore l’aumento di prezzo delle materie prime. Il risultato è comunque un aumento indiretto e occulto dei prezzi, denunciato di recente da diverse associazioni.
Quel che è certo è che d’ora in poi tutti gli occhi resteranno puntati sulle dinamiche inflazionistiche in quanto dalla ripresa dell’inflazione potrebbero dipendere le tempistiche del tapering (ossia il ritiro degli incentivi monetari) delle banche centrali. Per ora Fed e BCE liquidano questo incremento dell’inflazione come transitorio ma il 2022 potrebbe portare qualche novità sui mercati e per gli operatori.
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