In estate, spesso non si presta particolare attenzione alla politica, e forse in pochi hanno fatto caso a una notizia interessante: con il DPCM del 5 agosto, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha esercitato il golden power su un contratto di fornitura siglato tra Fastweb e la cinese Zte.
Ma cos’è questo “potere aureo” di Draghi? È corretto usare questo termine in inglese? Oppure l’inglese è utilizzato solo per incuriosire il lettore? Vediamolo insieme.
Innanzitutto per golden power si intendono i poteri speciali che il governo italiano può esercitare per tutelare gli interessi nazionali. L’origine di questa espressione è legata a una locuzione del passato, ossia golden share, introdotta nel nostro ordinamento con la legge n. 47/1994. La golden share era uno “strumento tipico della tradizione britannica che fa riferimento alla conservazione da parte dello Stato, nell’ambito di procedure di privatizzazione di imprese in origine pubbliche, di una partecipazione azionaria con poteri esorbitanti rispetto a quelli spettanti a un normale azionista”. Nel 2009, però, il sistema alla base della golden share fu oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea, cosa che portò, nel 2012, all’introduzione del golden power: superando lo strumento della golden share, si sostituivano le partecipazioni azionarie munite di prerogative speciali con un potere di intervento dello Stato su specifiche operazioni in settori strategici a livello nazionale. È in questo contesto che si inserisce la legge n. 56/2012, “Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni” [grassetto nostro nella citazione]. In pratica, lo Stato può imporre specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni o porre il veto all’adozione di particolari delibere in grado di compromettere gli interessi nazionali.
Quindi l’espressione golden power è stata importata dall’estero?
Non proprio, come spiega con precisione Carlo Favaretto su Treccani:
Mentre golden share è un’espressione nata nella stagione britannica delle privatizzazioni e universalmente utilizzata, golden power è un anglicismo proprio del sistema italiano. Negli altri Paesi si parla di foreign investment control oppure screening, controllo sugli investimenti esteri. Questa differenza terminologica ha in realtà una ragione sostanziale: il golden power italiano, nei limiti di quanto permesso dalla libera circolazione dei capitali all’interno dell’Unione Europea, tutelava gli asset strategici in sé, indipendentemente dal fatto che l’investitore fosse italiano o estero.
Questo uso improprio dell’inglese non è una novità per le istituzioni italiane. Di inglese “farlocco” parla spesso anche la terminologa Licia Corbolante, che ha raccolto numerosissimi esempi di questo fenomeno caratterizzato da anglicismi superflui o pseudoprestiti. Da Jobs Act a endorsement passando per il recente Covid Hospital, sono ormai moltissimi gli esempi di questi usi che rischiano però di risultare poco trasparenti. Tornando al nostro golden power, per il lettore non sarebbe più chiaro leggere l’espressione poteri speciali (dello Stato)?
Non c’è nessun valido motivo per evitare l’espressione italiana che, in realtà, è utilizzata in tutti i documenti ufficiali; nei contesti più informali (pagine web del governo, comunicazione verbale istituzionale, articoli giornalistici, ecc.) si registra invece una netta preferenza per l’inglese. Forse per rendere il concetto più esotico? O siamo proprio in un caso di inglesorum, nella definizione della stessa Corbolante (“un aggiornamento del latinorum manzoniano: confonde le idee e distrae dalla realtà”)? Ognuno si farà la propria idea, ma dal punto di vista traduttivo queste differenze contano e vanno identificate. Il contesto e il registro poi aiuteranno gli esperti traduttori di Arkadia Translations a scegliere quando sia più opportuno adottare l’espressione inglese o quella italiana, in modo che la traduzione sia più naturale e fedele possibile.