Tutti sappiamo che il linguaggio può assumere due forme: verbale e non verbale.
Nel primo caso, comunichiamo in forma orale tramite la nostra lingua madre o con un idioma studiato ed imparato. Nel secondo caso è il nostro corpo che invia dei segnali sul nostro stato emotivo e sulle nostre intenzioni. Ne fanno parte la mimica, la postura, il movimento: tutte forme di espressione che compongono il nostro modo di esprimerci.
Chi è in grado di interpretare correttamente il linguaggio del corpo ha un grande vantaggio nella comunicazione con gli altri, avendo la possibilità di adattarsi allo stato emotivo dell’interlocutore e creare più facilmente empatia.
L’aspetto che molti di noi ignorano è che il linguaggio non verbale non è universale, ovvero alcune espressioni o certi gesti non hanno lo stesso significato in tutte le parti del mondo. Per questo motivo, prima di andare in un paese straniero ed immergersi nella sua cultura è bene conoscere anche il body language dei suoi abitanti.
Come primo esempio portiamo quello della mimica facciale e della sua più semplice forma di espressione: il sorriso.
In Europa, sorridere significa comunicare di essere d’accordo con quanto ci viene detto o di essere complici con la persona con la quale si sta parlando.
In altre culture, come quella giapponese, sorridere è un modo per non offendere l’interlocutore quando si è in disaccordo o in contrasto.
Nella cultura occidentale, siamo liberi di esprimere i nostri stati d’animo attraverso le espressioni del viso che diventano un mezzo fondamentale per capire cosa proviamo.
Al contrario, in quella orientale non esiste il concetto di “espressione spontanea”. A partire dall’infanzia, i bambini vengono educati a controllare la loro emotività, mostrando sempre compostezza nei confronti dei sentimenti.
Proseguiamo parlando dello sguardo, il veicolo per eccellenza del linguaggio non verbale.
Nella nostra cultura, guardare qualcuno negli occhi può comunicare sincerità, seduzione, sicurezza e molto altro ancora.
In culture euroasiatiche e africane, invece, può rappresentare un problema tanto che, per esempio, le donne non hanno il permesso di guardare dritto negli occhi una persona del sesso opposto per motivi di subordinazione.
Un’altra eccezione si ritrova in Giappone, dove abbassare gli occhi è una forma di assoluto rispetto, e persino durante le conferenze gli spettatori sono soliti non guardare mai negli occhi l’oratore.
Anche le mani assumono un ruolo importante nella comunicazione interculturale non verbale.
Mettere le mani in tasca non è socialmente accettato nella cultura cinese e turca, mentre in quella araba è consentito “nascondere” solo la mano destra perché l’altra è considerata impura.
Anche la semplice stretta di mano può creare imbarazzo. Quando si incontra una persona nuova, noi occidentali siamo soliti presentarci con una bella stretta di mano per comunicare calorosità e sicurezza.
In Oriente questa modalità non è prevista. Infatti la loro stretta tende ad essere molto debole e sfuggente, in quanto nella loro cultura il saluto viene espresso tramite l’inchino.
Queste sono solamente piccole curiosità che rappresentano una parte del mondo che ci circonda e ci fa comprendere quante cose ci siano ancora da scoprire sul linguaggio in qualsiasi forma esso si presenti.